La contesa letteraria e gastronomica che vide contrapposti il padre del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti e il promotore del Novecentismo, Massimo Bontempelli, sulla sorte della pasta asciutta non fu un semplice bisticcio per buongustai ma fu piuttosto una profonda battaglia sull'identità italiana all'inizio degli anni Trenta, una polemica che oggi, a distanza di quasi un secolo, risuona con sorprendente attualità.
Marinetti, con la pubblicazione de Il Manifesto della Cucina Futurista nel dicembre 1930, lanciò il suo anatema più clamoroso: l'abolizione della pasta asciutta. Il suo attacco era motivato da un'ideologia che voleva l'Italia proiettata verso la velocità, l'acciaio e l'energia dinamica, e che vedeva nel piatto tradizionale l'ostacolo principale a questa rivoluzione.
Marinetti sosteneva, basandosi su pareri medici dell'epoca, che la pasta fosse un alimento "passatista" che ingombrava lo stomaco e la mente, provocando una serie di mali spirituali e fisici. Descriveva la pasta come la causa di "fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo". Per Marinetti, il futuro richiedeva una "razza" agile e scattante, nutrita da "bocconi simultaneisti" e polibibite chimiche, capaci di stimolare l'intelletto anziché appesantirlo. L'attacco aveva anche una valenza patriottica ed economica, strettamente legata all'ideologia autarchica del tempo, poiché abolire la pasta avrebbe significato liberare l'Italia dalla dipendenza dal grano straniero in favore dell'industria del riso.
Massimo Bontempelli rispose all'affondo di Marinetti non difendendo il gusto, ma l'inscindibile legame tra il cibo e la cultura italiana. Per Bontempelli, tentare di estirpare la pasta significava negare la storia stessa della nazione.
Lo scrittore elevò la pasta asciutta a prodotto inseparabile della civiltà italiana, affermando in modo provocatorio che "La storia d'Italia ha prodotto la pasta asciutta e i trattati di Dante, forse da una medesima misteriosa radice". Egli non negava l'esigenza di una rivoluzione, ma la inquadrava come una battaglia contro la "voluminosa pasta asciutta quotidiana" che appesantiva lo spirito, un difetto di mentalità più che di dieta. Bontempelli evocò la figura di Giambattista Vico come "gran mangiatore di pasta asciutta", suggerendo ironicamente che il genio italico fosse fiorito proprio in compagnia di quel cibo tanto vituperato. La sua posizione era, in essenza, che l'identità di una nazione è un "insieme armonico" che non può essere smembrato per decreto.
Se guardiamo alla polemica con occhio contemporaneo, possiamo dire che Bontempelli ha trionfato sull'identità, mentre Marinetti ha toccato temi di modernità.
Oggi, l'accusa di Marinetti di una dieta che rende "lenti e pessimisti" è stata ampiamente rovesciata. La Dieta Mediterranea, con i suoi carboidrati complessi, è celebrata a livello globale come modello di benessere e longevità.
Tuttavia, alcuni punti futuristi non sono del tutto anacronistici:
Innovazione Culinaria: Il sogno di Marinetti di una cucina sperimentale, sensoriale e artistica è la base della moderna alta cucina, dalla Nouvelle Cuisine alla cucina molecolare, che fa dell'esperienza e della chimica i suoi capisaldi.
Sostenibilità: La sua spinta all'utilizzo del riso per liberarsi dal grano straniero si riflette, in chiave non autarchica, nel dibattito moderno sulla sostenibilità della filiera corta, sull'impiego di grani antichi italiani e sulla riduzione dell'impronta ecologica della produzione alimentare.
In definitiva, la pasta asciutta non è mai stata abolita, consacrando il punto di Bontempelli sull'ineluttabilità della storia ma è rimasta, e tuttora è, l'ambasciatrice culinaria italiana più amata nel mondo. Tuttavia la battaglia di Marinetti continua a ispirare quei cuochi che vedono nel piatto non solo un alimento, ma una tela su cui proiettare il dinamismo e la fantasia del futuro.


Commenti
Posta un commento