LE MIE LETTURE - IL RESPIRO DI UN'ITALIA PERDUTA: RIFLESSIONI SU "UNA VITA PER L'ITALIA" DI RODOLFO GRAZIANI

 


In un’epoca in cui il mondo sembra correre freneticamente verso un futuro incerto e frammentato, riscoprire pagine di storia vissuta può offrire un rifugio inaspettato e un’occasione preziosa per riflettere su valori che oggi appaiono sbiaditi. È questo il sentimento profondo che mi ha accompagnato durante la lettura di Una vita per l'Italia, il memoriale di Rodolfo Graziani, rivisto personalmente dall’autore poco prima della sua scomparsa nel 1955. Non si tratta solo di una cronaca militare o di un'autodifesa postuma, ma di un affresco vivido e drammatico che ci riporta in un'Italia ormai lontana, caratterizzata da un senso del dovere e una rettitudine che oggi fatichiamo a rintracciare nella sfera pubblica.

Il racconto affonda le sue radici a Filettino, un borgo della Val d'Aniene arroccato a oltre mille metri, dove la vita era scandita dai ritmi arcaici della pastorizia e della transumanza verso le paludi pontine. Graziani descrive le sue origini come un "titolo d'onore e d'orgoglio", ricordando un mondo rurale fatto di fatiche estreme, dove i pastori sfidavano il gelo e la malaria per la sopravvivenza delle greggi. Leggendo queste pagine, si avverte una nostalgia profonda per un tempo in cui l'identità di un uomo era indissolubilmente legata alla sua terra e al sacrificio fisico. Colpisce il confronto con la società odierna: mentre oggi cerchiamo spesso la via più breve e agevole, il giovane Graziani veniva plasmato dall'esempio paterno. Suo padre, Filippo, era un medico condotto che, pur essendo un clinico di talento uscito dalla scuola di luminari come Baccelli, rinunciò alla carriera a Roma per curare i malati in zone impervie, percorrendo chilometri a piedi o a dorso d'asino per una "miseria". È una lezione di vita potente, che ci ricorda come l'onestà e la missione professionale non siano concetti astratti, ma scelte quotidiane fatte di fatica e scrupolo eroico.

L'adolescenza nel seminario di Subiaco aggiunse un ulteriore strato di profondità alla sua formazione. La disciplina "rigida e temprante" dell'istituto non soffocò il suo spirito, ma preparò il terreno per quella vocazione militare che egli sentiva come un "segno del destino". Graziani descrive il suo amore per le armi non come una sete di violenza, ma come il desiderio mistico di contribuire al prestigio della Patria. Questo concetto di Patria, intesa come una comunità di destino superiore agli interessi privati, emerge chiaramente anche nel racconto della morte di Re Umberto I, vissuta dalla sua famiglia come un "terribile colpo". Testimonia un'Italia in cui i simboli dello Stato erano oggetto di una devozione quasi religiosa, un sentimento che oggi, in un'epoca di individualismo esasperato e crisi delle istituzioni, appare quasi mitologico.

Un episodio centrale del libro, che invita a una riflessione amara sull'attualità, riguarda il suo rifiuto delle "raccomandazioni". In occasione di un esame, ricevette una lettera di presentazione che scoprì contenere una frase sprezzante: "Tanto per levarlo dalle tasche ti presento...". Quel momento fu il suo "duro crisma dalla realtà": decise che da allora avrebbe contato solo sulle proprie forze. In un'Italia contemporanea spesso ancora vittima di logiche clientelari e "scorciatoie" sociali, questa rivendicazione di indipendenza e di merito guadagnato sul campo brilla per la sua dignità, ricordandoci il valore della "parola data" e della coerenza anacronistica in un mondo di promesse volatili come post sui social.

Il memoriale ci permette inoltre di comprendere il fascino romantico che l'Africa esercitava sulla gioventù di allora. Non era solo espansionismo, ma un desiderio di agire in spazi aperti, lontano dalle burocrazie soffocanti. Questo desiderio di essere "pionieri" testimonia una spinta vitale che oggi sembra sostituita da un cinismo rassegnato. Approfondendo la lettura, emerge anche una concezione del tempo radicalmente diversa dalla nostra. Graziani descrive lunghi periodi di preparazione meticolosa e attesa, in netto contrasto con la nostra "dittatura dell'istante". Il libro suggerisce che le grandi imprese richiedono la pazienza dell'agricoltore e la tempra del soldato, virtù che la nostra società della gratificazione immediata ha dimenticato.

Graziani riflette anche sulla questione sociale, sognando una "collaborazione tra capitale e lavoro" che superasse la lotta di classe, ispirato dalla visione degli operai e degli ingegneri nei grandi cantieri romani. È una prospettiva che invita a superare le divisioni sterili per costruire un bene comune solido. Infine, l'opera si confronta con il senso del tragico. Scritto in gran parte durante la prigionia, il testo non cerca facili assoluzioni, ma si pone come lo "specchio della nostra drammatica storia". Graziani descrive gli anni della guerra con l'amarezza di chi ha visto il declino, mantenendo però la schiena dritta di fronte alla sconfitta, senza cercare colpevoli esterni.

In definitiva, Una vita per l'Italia ci interroga su ciò che siamo diventati. Attraverso le sue pagine, riscopriamo il respiro di una nazione che sapeva credere fermamente nella disciplina e nell'amore per la terra d'origine. È una lettura consigliata per riflettere se il progresso tecnico ci abbia davvero regalato una vita migliore, o se non abbiamo invece smarrito lungo la strada una parte fondamentale della nostra dignità e del nostro spirito di comunità.



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